Quando ho voglia di farmi un giretto in campagna, senza dover macinare chilometri e chilometri di strada, solitamente vado dalle parti di Morimondo o di Gaggiano. A guardare bene, il grigio di Milano è limitato in alcuni punti da aree verdi agricole inaspettatamente attive e popolose. Chi viene da fuori pensa che Milano sia cemento, ma in realtà la perdita della vocazione contadina è un fatto relativamente recente e a casa mia rimane ancora il ricordo della tal cascina in via Lorenteggio, con la chiesetta antica dove andavano a nascondersi i bambini, piuttosto che dei fossi con le rane in mezzo a campi di nulla. Cose di prima della guerra, cose di Milano prima del boom, cose che io non ho mai visto, ma che ho solo annusato attraverso il lessico familiare della mia infanzia.
Qualche mese fa io e Fabio abbiamo portato la Isa in una cascina a vedere gli animali. C'erano i soliti asini un po'puzzolenti, con il ciuffo o la frangetta, i vitellini che dietro ai cancelletti aspettavano il biberon di latte, e una sfilza di mucche con gli occhi tristi, che spingevano con il muso e la testa per aprirsi un varco al di fuori del recinto, dove a terra, in una sorta di canale di scolo, c'era sparpagliato un pastone marroncino. Ci hanno fatto una pena infinita. Non solo per la fine a cui sono destinate, ma per la vita che devono condurre. Un'osservazione tra tutte, che detta da una bambina di cinque anni fa davvero effetto: perché i vitellini stanno da soli di là e prendono il biberon, quando qui ci sono le loro mamme? La gita in fattoria ha perso il connotato festoso che aveva inizialmente. Alla faccia dell'allevamento bio! Abbiamo rilevato la stessa incongruenza anche in un'altra cascina, che offre nei fine settimana delle attività didattiche per bambini. Anche questa si fregia del bollino bio, ma anche qui abbiamo notato la stessa cosa: vitellini in recinti singoli, separati dalle madri; mucche nutrite con pastoni dall'aria non propriamente naturale e chiuse in un recinto parecchio affollato.
Tutte le volte che vedo gli animali delle cascine, mi riprometto di diventare vegetariana, ma l'abitudine, la pigrizia e la golosità, remano contro i miei ottimi propositi etici.
Non mangio tutta la carne: non mangio conigli, cavalli, maialini, vitelli, agnelli e capretti per convinzione, e in particolare non voglio cibarmi di cuccioli. Però sono un'orribile consumatrice di genitori di cuccioli, basta che non siano al sangue.
Una sera abbiamo visto, miracolosamente in prima serata, il film Fast Food Nation (guardatelo, non è affatto male!), che per un bel po' ci ha tenuto alla larga dai vari Mac Donald's, ma poi, si sa... quando è domenica sera e non hai un cacchio in casa...o quando la bambina è invitata ad una festicciola...sì, lo ammetto, la mia etica trova delle barriere, delle scuse ben squallide...non riesce a superare lo scoglio del crispy mac bacon o del più banale panino col salame.
Ci siamo visti anche Super Size Me, ma anche lì...un po'di astinenza e poi... eppure credo di essere una persona sensibile, che prova empatia per tutti gli esseri dell'orbe terracqueo (a parte i lumaconi in giardino e i topi che vogliono entrarmi in casa), ma, a prescindere da tutte le disquisizioni sulla salubrità o meno dei fast food e sul loro impatto socio ambientale, è come se la bistecca che mi ritrovo nel piatto fosse un frutto che cresce in qualche cespuglio o su un albero. Periodicamente mi ci metto, ma niente da fare, alla fine cedo all'etto di Golfetta.
Il colpo di grazia per la mia labile coscienza animalista è stato leggere Se niente importa di Foer, che spiega dettagliatamente quali siano le modalità con cui vengono condotti gli allevamenti intensivi, in particolare di pollame e di maiali. Si tratta di un libro allo stesso tempo giornalistico e filosofico, che vuole dimostrare, alla luce di fatti documentati e dimostrabili, come il vegetarianesimo sia la scelta logicamente più corretta.
L'autore è convincente e fornisce anche una scappatoia per i "drogati" carnivori: se proprio non puoi fare a meno di consumare carne, almeno scegli gli allevamenti che assicurano un alto tenore di vita (sostanzialmente libero accesso al pascolo, socialità adeguata a seconda della specie e cibo non manipolato) e una buona morte al bestiame.
Ho iniziato a comprare molta meno carne per la famiglia, anche se la fettina al burro mi ha sempre risolto la cena in extremis, mannaggia.
Non ne abbiamo bisogno. Siamo abbastanza iper nutriti e iper proteici. Purtroppo per ora l'accesso a carne di provenienza sicura, da aziende ad esempio che abbiano operato scelte etiche nei confronti dei loro capi, è piuttosto difficile, perchè il bollino del biologico non assicura che gli animali vengano realmente allevati al pascolo, o, nel caso dei polli, "a terra": quando leggiamo questa dicitura, vuol dire che gli animali possono accedere all'aria aperta perchè c'è uno spazio esterno al capnnone o alla stalla, ma non possiamo sapere di che spazio si tratti, né se siano sottoposti a trattamenti crudeli, come la recisione del becco, oppure l'estrazione dei denti (nel caso dei maiali). Anche le mucche che abbiamo visto quella domenica erano all'aria fresca, ma decisamente non a brucare l'erbetta.
Però io ho visto mucche felici e ho dovuto aspettare la bellezza di 33 anni per toccare con mano che non è possibile solo nei film o nei documentari sulla Nuova Zelanda. In Trentino Alto Adige, in Svizzera, in Austria e in Scozia, tutti paesi che abbiamo toccato per vacanza o per lavoro negli ultimi tre mesi, abbiamo visto animali liberi nei prati, sul ciglio della strada o in grandi aree verdi con bassi recinti in pietra, che più che servire a delimitare lo spazio alle bestie, erano necessari per proteggerle, ad esempio, dal vento scozzese che soffia davvero forte. In Austria i recinti dei pascoli sono fili di plastica azzurri tirati tra paletti di metallo, e le mucche brucano la loro erba ad alta quota in tutta tranquillità, scavalcano qualche fiumiciattolo, oppure riposandosi accanto ai vitelli. Tutto molto bucolico. Di certo una buona vita per questi animali. Non so che tipo di morte li attenda, ma in queste realtà si respira rispetto per il bestiame, non certo perchè gli allevatori svizzeri o scozzesi siano tutti degli attivisti della PETA, ma perchè si tratta di un investimento, anche parecchio dispendioso, ben gestito. Se campi bene tu, campo bene io. E' un patto atavico: ti assicuro protezione dai predatori, cibo e cure, tu alla fine mi darai in cambio la tua carne.
E' una realtà meno industriale e più umana. L'allevamento che viene praticato nei dintorni di Milano, per quanto voglia darsi arie di sostenibilità, manca di questo aspetto, anche se spero di sbagliare e di essere smentita da esempi "virtuosi". Si cerca di trarre profitto da aree limitate, concentrando gli animali in spazi troppo ristretti, che non consentono una nutrizione e una situazione sanitaria adeguate, né una socialità allineata con le necessità delle bestie.
Nonostante queste mie riflessioni, rimango comunque un mostro sanguinario mangia salumi, lo so, però è già un passo porsi il problema e non subire passivamente il cibo, buttandolo nel carrello a casaccio. Voi ci pensate agli occhi tristi delle mucche quando andate a fare la spesa, o sono io ad avere le fisse?