martedì 24 aprile 2012

168, l' anteprima dell'inferno

Mi piace moltissimo la cucina cinese. Dai tempi non sospetti in cui adavo con i compagni delle medie al mitico ristorante "Hu Luigi" di via Giambellino, appena posso mi concedo un involtino primavera o gli spaghetti di riso. Alcuni amici e conoscenti mi hanno parlato di un ristorante con la formula all you can eat in v.le Jenner a Milano, il 168, decantandomene la qualità, l'abbondanza e la cura degli arredi.
Ecco, probabilmente questi amici e conoscenti hanno dei seri problemi a tutti e cinque i sensi, hanno la mente obnubilata dal magnetismo solare, o, semplicemente, hanno dei gusti molto diversi dai miei.
Qui, io e Fabio abbiamo avuto un assaggio di un girone infernale a vostra scelta, visto che ce n'era per tutti i gusti.
Innanzitutto il colpo d'occhio: domenica a pranzo, folla variegata e variopinta alla ricerca del low cost e della pancia piena, che, come tante formiche, scorre lungo banconi colmi di cibo. Piatti con piramidi alimentari complete, equivalenti a 3 pasti tradizionali per quantità (e questo è solo il primo giro!) tra le mani di uomini corpulenti e donne altrettanto corpulente di ogni età.
Aspettiamo qualche minuto che si liberi un tavolo (sono circa 400 coperti e non c'era un buco libero alle due del pomeriggio), poi un solerte cameriere madrelingua cinese ci fa strada tra la folla in attesa ai banconi dove viene cotta la carne in diretta: lui cammina con passo svelto, noi tentiamo di stargli dietro facendo schivare gomitate in testa alla Isa. Ad un certo punto lo perdiamo di vista, ma ecco che riemerge, solo che noi abbiamo dimenticato la bussola e il navigatore satellitare, quindi fatichiamo ad orizzontarci all'interno del locale strapieno.
Ci sediamo e siamo già pentiti. Molto pentiti. Non siamo schizzinosi, abbiamo mangiato ovunque, dalla bettola pane e salame al ristorante elegante, con standard di pulizia da "gatto sull'affettatrice" fino a "presidio medico chirurgico", ma il 168 è altro. E' un osservatorio sui meccanismi più reconditi dell'animo umano e sulle conseguenze di un mercato "alla cinese", cioè quantità versus qualità. Se siete reduci da una giornata di lavori edili in cima ad un'impalcatura, coronata da due ore di corsa in salita, allora probabilmente la vostra fame può giustificare un pasto in questo ristorante: annebbiati dal brontolio di stomaco, non fareste certo caso alla qualità della cucina, che sforna piatti a velocità warp in maniera sospetta, cosa resa possibile grazie al fatto che questo posto è evidentemente un porto franco dello schiavismo. A parte la mortificazione del sapore, è la convivialità stessa del pasto ad essere sacrificata: a meno che non vi troviate seduti in prossimità delle "isole" di cibo, è praticamente impossibile che i commensali mangino contemporaneamente, visto che non è consigliabile lasciare incustoditi oggetti personali.
La fauna è notevole, almeno di domenica:  Fabio ha provato l'esperienza pre- morte di trovarsi schiacciato tra una donna dalle grosse braccione al vento e un omone tatuato in canottiera, in attesa del proprio turno per far cuocere la carne (nel loro caso, una montagna di carne).
Io sono stata costantemente preceduta da una donna anziana, con maglia acrilica con stampa finto pied de poule, che riempiva sistematicamente il piatto con una quantità di cibo pari al contenuto della vaschetta in alluminio in cui era presentato: ci sono 10 involtini primavera? E lei se li prende tutti. Otto cucchiaiate di pollo alle mandorle? E via! La spazzolatrice riesce a farle stare in un piatto piano, senza farne cadere nemmeno un po'.
E io dietro, forse l'unica a bocca asciutta in tutto il locale. Probabilmente la signora "aveva fatto la guerra" e risentiva della sindrome da buffet, di cui spesso soffrono le persone di una certa età, non trovo altre spiegazioni plausibili.
Insomma, andate al 168 solo se siete molto frustrati e avete voglia di pogare.

martedì 17 aprile 2012

E Biancaneve fece tutto da sola... o no?

Io e Fabio amiamo il cinema: prima che nascesse la Isa capitava che ci andassimo anche due volte la settimana, di solito una prima visione scelta e meditata tra quelle offerte sul Corriere e un film d'essai a caso nella nostra sala preferita, l'Ariosto di Milano. Dal 2007 black out totale: mi sono fatta anche una lista di film da vedere, suddivisa per anno, che occhieggia ogni tanto tra le mie carte, ma con pochissime cancellature. Appena la Isa ha compiuto 3 anni, abbiamo deciso che bisognava festeggiare mettendo alla prova la sua resistenza in una sala cinematografica, così l'abbiamo portata a vedere il film Disney appena uscito, La principessa e il Ranocchio. Ovviamente ha pianto perché c'è una scena con delle maschere voo doo, ma ha resistito. L'anno successivo, Rapunzel è stato un successone: l'ha visto, se l'è goduto e noi siamo usciti speranzosi riguardo al fatto che il giorno in cui avremmo potuto vedere un film, non un cartone animato, al cinema tutti insieme non era poi così lontano. Quest'anno, complice una Pasquetta dal clima autunnale, abbiamo fatto l'ultimo test: siamo riusciti a convincerla che il cartone Pirati era roba da poppanti (probabilmente era divertentissimo, ma in questo caso è irrilevante) e siamo andati a vedere Biancaneve (in inglese Mirror Mirror).
Ve lo consiglio: è divertente, ha delle belle trovate, non annoia gli adulti, e non da ultimo ha dei costumi bellissimi, a metà tra Alice nel Paese delle Meraviglie e Labirinth, film che probabilmente abbiamo visto in cinque o sei (e la protagonista di Biancaneve un po' ricorda Jennifer Connely).
Come "romanzo di formazione" non è male: c'è una ragazzina convinta di non valere nulla, perché così la definiscono tutti, regina cattiva in primis, una "madre buona", la cuoca, che la convince a guardare il mondo esterno con i propri occhi senza paura, degli aiutanti, i nanetti, che le insegnano a credere in se stessa e nelle proprie capacità, finché la fanciulla diventa una donna vera, che si salva rifiutando le lusinghe della vanità e sbaraglia gli avversari con l'intelligenza, l'altruismo e la furbizia.
Happy end in stile Bollywood, e a casa tutti felici.
Finalmente una Biancaneve che non è moscia, petulante e irritante come quella disneyana, anzi, l'inizio del film gioca proprio su questo, sul fatto che la ragazza sia considerata dalla regina e dalla sua corte una lagna pazzesca. In questo caso Biancaneve combatte, rifiuta più volte l'aiuto del principe e dei maschi in generale, dimostra astuzia e senso dell'umorismo (le femministe più convinte probabilmente avranno trovato qualche punto sessista che a me è sfuggito...).
Sono contenta di aver fatto vedere alla Isa un film così e lei è rimasta affascinata anche da un particolare estetico piuttosto lampante: la protagonista ha delle sopracciglia molto importanti ed ha un aspetto diverso dal solito. Mi sono detta, io, portatrice insana di sopracciglia a zerbino, genitrice di una futura schiava di pinzette, finalmente una bellezza nuova, evvai, sono curiosa di vedere chi è questa attrice. Ecco, non dovevo andare a vedere.
Si tratta di Lily Collins, figlia del celebre musicista. Sì sì, proprio quello.
Se andate su Wikipedia e leggete la sua biografia, troverete frasi edificanti del tipo: "in età adolescenziale si appassiona al giornalismo scrivendo per Elle Girl, Seventeen, Teen Vogue e il Los Angeles Time...", e più oltre "viene scelta da Chanel per indossare un suo abito al Ballo delle Debuttanti del 2007 e da Glamour nel 2008 come "Modella internazionale dell'anno", apparendo sulla copertina di agosto 2009".
E' ovvio che non metta in dubbio le sue doti e le sue capacità, nel film mi è sembrata una brava attrice, ma diciamoci la verità, quanti di noi, in età adolescenziale, avrebbero avuto la possibilità di pubblicare qualcosa su un mensile, un settimanale, o addirittura un quotidiano a tiratura nazionale? Credo che la maggior parte di noi non sarebbe nemmeno riuscita a far leggere qualcosa a queste redazioni, che avrebbero prontamente cestinato la nostra mail o la nostra letterina col francobollo. Così ho pensato che questa Biancaneve cominciava a piacermi un po' meno: altroché salvarsi da sola.... diciamo che papino, a voler pensare male, le ha fornito delle bacchette della batteria molto appuntite per farsi strada nel mondo e una rete di conoscenze direi non esattamente del bar del Giambellino... ma io sono maligna. Come la strega.

giovedì 5 aprile 2012

Figurine

Da bambina non ho mai finito un album di figurine.
Forse quello di Magica Emy, ma non sono molto sicura.
Sulle pareti del mio letto pieghevole campeggiavano i santini adesivi di giocatori di calcio che aveva attaccato mio fratello e ogni sera mi addormentavo guardando la faccia di Scirea, quella di Vierchowod e i sopracciglioni di Bergomi, preludio di notti angosciate, piene di sogni cruenti.
Il mio primo album di figurine è stato uno di Barbie, iniziato nel 1984, e che fino a qualche anno fa avevo ancora tra le pile di giornaletti vecchi (ma vecchi vecchi, visto che c'erano anche Tiramolla e Soldino) nella casa che prendevamo in affitto al mare: non c'era una storia, erano solo dei disegni di questa wonder woman bionda che viaggiava in lungo e in largo con splendidi abiti...rispetto a Bergomi, ovvio che Barbie avesse un certo ascendente estetico su di me!
Alla Isa le figurine piacciono solo perchè le può appiccicare sulle porte e sull'amplificatore di Fabio. Fino ad ora, non le avevo ancora preso alcun album, ma su pressione delle amichette dell'asilo ha insistito per avere quello degli "Amici cucciolotti". Un nome, un programma.
Per un po'abbiamo resistito, poi, come sempre, abbiamo calato le braghe e siamo andati in edicola.
Un album inspiegabilmente enorme, con più di 500 figurine, in cui gli animali sono catalogati con parametri pre- Linneo, dove ci sono anche draghi, fatine e adesivi degni dei peggiori "Cioè"anni 90.
Un orrore.
La Isa non ha ancora il senso dello scambio: lei semplicemente regala tutti i doppioni e se riesce a rimediare qualche figurina che non ha, si compiace più che altro per essersi ricordata a memoria quale le mancava. Per quello ha una memoria visiva invidiabile, esercitata con lunghe sessioni di memory.
Insomma, alla Isa non frega niente degli amici cucciolotti, ma visto che se non ha le figurine, le bambine la mettono da parte, allora se li fa piacere.
Giustifico le cinquenni. Capisco un po'meno le madri.
Io e Fabio rimaniamo allibiti quando vediamo queste donne, nel fiore, teoricamente, delle proprie facoltà mentali, compilare febbrilmente lunghissimi elenchi di figurine mancanti, stringere accordi, siglare patti, operare scambi degni di Piazza Affari e criticare aspramente chi non porta ai giardinetti i doppioni. I bambini intorno giocano, si rincorrono, litigano, si picchiano, insomma, fanno i bambini; gli adulti controllano la loro lista, segnano, scambiano, si emozionano per una partita di doppioni giunta dall'amichetto del calcio...insomma, fanno i bambini pure loro.
Noi non abbiamo una lista. Non l'abbiamo fatta. Per questo siamo guardati un po'male. E compriamo anche poche figurine: il nostro album non ha raggiunto nemmeno la soglia aurea delle 90 figurine mancanti (numero massimo che si può richiedere direttamente all'editore).
La Isa sbuffa quando qualche mamma la chiama insistentemente per vedere i doppioni, mentre si sta arrampicando o giocando intorno allo scivolo...probabilmente la credono una povera disadattata, frutto di genitori sventati e poco attenti.
Non ho la lista. E comunque continuo a fare sonni tranquilli.
Magari avessi ancora il santino di Bergomi appeso sul letto...magari mi potrebbe ispirare un sano e giusto comportamento da madre moderna e sempre sul pezzo.